L’avanguardia brutalista rivive tra filologia e poesia.
Quattrocentomila nuove stanze, circa 500 nuovi edifici in dieci anni. È la Milano dei Sessanta che si espande e popola i vuoti in velocità. La Milano dei BBPR di corso Buenos Aires, del Luigi Caccia Dominioni di piazza Carbonari, di Vico Magistretti di piazzale Aquileia e di tutti i protagonisti di quel fenomeno che conosciamo come ‘Condominio Milano’ che ha dato vita a una fortunata serie di episodi d’architettura residenziale.
Tra questi, c’è anche un incredibile ‘ufo’: il Complesso in via Muratori, firmato da un dream team guidato da un ingegnere romano, Lucio Passarelli, che nel 1966 progetta (con Giuseppe Chiodi) un’architettura dall’aria brutalista.
Una sorta di machine à habiter, articolata per cellule e servizi, sviluppati in quattro moduli di maglia quadrata, attorno ad ampi cavedi circolari. L’ambizione? Lasciare un segno nella storia dell’urbanistica milanese, scompigliando con un condominio borghese dal tratto sovversivo (premio In/ARCH 1969) le regole di un quartiere cresciuto nell’ortogonalità dei primi del Novecento.